Ci sono viaggi che si fanno con i piedi, e altri che si fanno con il cuore. Il pellegrinaggio a Cascia, nel cuore dell’Umbria, è entrambi. È un cammino che inizia spesso con una richiesta, una ferita, un desiderio di pace. E termina ai piedi di una donna che ha saputo trasformare il dolore in amore, la sofferenza in preghiera: Santa Rita.
Quando si arriva a Cascia, non si è semplicemente in un luogo. Si è in un tempo diverso, un tempo lento, carico di silenzio e di attesa. Le strade che portano al santuario sembrano accarezzare le montagne, e ogni passo diventa una preghiera.
Entrare nel Santuario di Santa Rita è come varcare una soglia invisibile. C’è un profumo leggero nell’aria, forse di cera, forse di rose, e una luce soffusa che illumina i volti di chi è lì con una speranza nel cuore. Davanti all’urna con il corpo incorrotto della Santa, le parole si fermano, ma gli occhi parlano, le mani si stringono, le lacrime scorrono libere.
Non c’è vergogna nel pianto a Cascia. Qui si piange per amore, per riconoscenza, per liberarsi. Qui si piange anche senza sapere perché.
Rita non è una santa lontana. È una madre, una sposa, una vedova, una monaca. Ha conosciuto il dolore della perdita, la fatica del perdono, l’umiliazione e la solitudine. Eppure non ha smesso di amare. La sua forza non era quella del rumore, ma del silenzio. Del dire “sì” quando tutto sembrava perduto.
E forse è per questo che continuiamo ad andare da lei. Perché Rita ci ricorda che ogni vita, anche la più ferita, può diventare luce.
Cascia non si dimentica. Il cammino, la preghiera, i volti incontrati lungo la strada… tutto resta impresso nell’anima. Tornare a casa dopo un pellegrinaggio così non significa chiudere un capitolo, ma portarne uno nuovo dentro di sé.
Cascia è il luogo dell’impossibile che diventa possibile. Del cuore che si apre. Della fede che, anche quando è piccola, sa muovere montagne.





















